Per Lidia Curti
Con il cuore stretto e con immenso dolore affronto la scrittura di questo mio documento-pensiero di cui desidero rendere partecipi tutti coloro che, come me, hanno avuto il piacere e il privilegio di incontrare e conoscere Lidia Curti, docente e collega di anglistica all’Orientale di Napoli. Ogni volta, sia che si discutesse di questioni teoriche, letterarie e culturali, sia che si organizzassero lezioni di didattica frontale collettiva o attività di gruppi seminariali e sia che si esaminassero film (Lidia amava il cinema e andare al cinema; ha scritto stimolanti saggi sul cinema: Schermi indiani, linguaggi planetari: tra Oriente e Occidente, modernità e tradizione, avanguardia e popolare, 2008 con S. Poole) o si parlasse di questioni banali e quotidiane, ci si trovava davanti a qualche inattesa scoperta: il suo pensiero – attraverso l’analisi di testi letterari canonici o popolari, nei serrati dibattiti politici – invitava sapientemente i suoi interlocutori (colleghi e studenti) a raccogliere le sue sfide e a tracciare con lei percorsi di studio inesplorati. Di più, la passione che l’ha sempre animata fino agli ultimi giorni di vita era la molla della sua inesauribile curiosità intellettuale che la spronava ad andare oltre, a porsi per così dire accanto alle avanguardie, a essere ella stessa avanguardia e caposcuola, a interrogarsi in anticipo su teorie e metodologie analitiche ancora da fondare, su ambiti di ricerca scarsamente frequentati su territorio nazionale e nell’anglistica italiana. Fondamentali sono state le ripetute e fruttuose relazioni interuniversitarie con importanti centri di ricerca inglesi quali il Centre for Contemporary Cultural Studies dell’Università di Birmingham: da qui, sul finire degli anni ’60, Lidia Curti aveva ‘importato’ nell’anglistica dell’Orientale di Napoli il campo variegato dei Cultural Studies con l’accento posto su classe, razza, genere, potere, media e linguaggi; lì Lidia Curti aveva portato con pieno successo il pensiero e gli scritti di Antonio Gramsci. Si era trattato di un rinnovamento reciproco e costante durato per moltissimi anni e arricchito poi con collaborazioni e scambi scientifici con università americane e australiane. La spinta inesauribile al rinnovamento ha sempre guidato le sue scelte intellettuali: già nel 1984 aveva pubblicato un volume originale sulle avanguardie registiche e sulle rivisitazioni shakespeariane (Peter Brook e Shakespeare: alla ricerca di un’avanguardia nel teatro inglese) e nel 1994 la cura del volume dal suggestivo titolo di Amleto e i suoi fantasmi. Successivamente realizzerà, con l’entusiastica partecipazione delle studentesse e degli studenti dei suoi corsi universitari, numerosi video mettendo così in luce l’interesse teorico e la pratica analitica nell’interazione creativa fra la produzione cartacea (soprattutto letteraria e popolare) e quella dei media cinematografici, televisivi ed elettronici. Il superamento di barriere spaziali, temporali, etniche, di genere ha connotato il perseguimento di sconfinamenti nei molteplici campi del sapere: i suoi progetti di ricerca, come la sua attività didattica e i suoi impegni accademici e istituzionali (Pro-rettrice all’IUO, Presidente dell’AIA, Membro della ESSE) hanno conseguito tale fine, sia che riguardassero la revisione critica dei canonici generi letterari o il ripensamento instancabile delle mutevoli differenze di classe, razza, genere e identità (alla ricerca del rinnovamento dei linguaggi comunicativi attraverso tracce di percorsi interdisciplinari e transculturali e intrecci tra poetica e politica di arti performative, visuali e sonore), sia che scardinassero le tradizionali visioni del femminile nella contemporaneità. Basti qui solo ricordare alcuni suoi scritti seminali che testimoniano l’attenzione civile e politica con cui interrogano criticamente, mettendole in questione, attuali teorie psicoanalitiche, femministe/post-femministe, postmoderne e postcoloniali onde suggerire nuovi scenari critico-creativi e percorsi di pensiero alternativi che potessero far pre-vedere differenti ma interagenti possibilità espressive: La questione postcoloniale: cieli comuni, orizzonti divisi (1995, con I. Chambers), Female stories, female bodies (1998), La nuova Sharazade. Donne e multiculturalismo (2004, con S. Carotenuto et al.)), La voce dell’altra: scritture ibride tra femminismo e postcoloniale (2006), Ritorni critici: la sfida degli studi culturali e postcoloniali (2018, con I. Chambers e M. Quadraro) e il recente Femminismi futuri. Teorie/Poetiche/Fabulazioni (2019, conA.A. Ferrante e M. Vitale). Lidia Curti non ha mai preso per mano studentesse e studenti, colleghe e colleghi, compagne di attivismo femminista; al contrario, li ha gioiosamente scaraventati in un oceano turbolento nel quale teorie e pratiche artistiche, letterarie, tecnologiche e digitali interagiscono, si intrecciano e talvolta fluiscono le une nelle altre dando luogo a ibridate modalità di pensiero che esigono necessarie sperimentazioni conflittuali con le egemonie ancora vigenti dell’antropocene, del capitalocene e del piantagiocene. Non è un caso che gli scritti più recenti di Lidia Curti si muovano in dialogo appassionato e in divenire con le posizioni ecologiche della Donna Haraway di Staying with the Trouble: Making Kin in the Chthulucene e continuino a sorprendere, a spiazzare e, in ultima analisi, a gettare un altro guanto di sfida: superare i consueti confini della conoscenza, della narratività letteraria ormai classica, della fantasia e della fantascienza tradizionali, dell’attivismo politico di un tempo, della separazione: andare oltre e attraversare le barriere – facendo ricorso alle teorie della intersezionalità di genere, alle indagini sulle migrazioni femminili, ai disastri ambientali, alle geografie globali e locali della disuguaglianza – è una delle ultime riflessioni critiche svolte da Lidia Curti.
Pur straziati dalla sua scomparsa, siamo confortati dal pensiero che Lidia Curti resterà nelle nostre ‘storie’ presenti e future per riscrivere “il senso del presente, disturbando il mondo in cui viviamo” (Femminismi futuri, p. 10).
Laura Di Michele