II primo Congresso nazionale dell’Associazione Italiana di Anglistica si propone di dimostrare concretamente – o forse, più cautamente, si potrebbe dire di saggiare – i1 livello scientifico raggiunto dalla ricerca nel campo dell’anglistica in Italia; un livello che – se mi è consentito di esprimere un’opinione personale ma che credo ampiamente condivisa – ha ben poco da invidiare, per impegno, per ricchezza di contributi, per risultati, a quello raggiunto nel medesimo campo negli altri paesi non anglofoni, ed anche in quelli di cultura inglese. L’unico settore in cui siamo restati indietro rispetto agli altri paesi è stato nella capacità di far conoscere il nostro lavoro al di là dei confini dell’Italia – ed è uno dei compiti primari della nostra Associazione l’ovviare a questa deficienza. Il Consiglio Direttivo dell’Associazione, riconoscendo la dignità e originalità scientifica raggiunta dalla ricerca non soltanto nel campo letterario ma anche in quello più specificamente linguistico, ha ritenuto di articolare gli interventi a1 Congresso in due sezioni distinte e parallele – letteraria e linguistica –, scegliendo tematiche circoscritte sul piano diacronico. Va detto subito che la ristrettezza del tempo ha costretto il Direttivo ad una impostazione poco elastica: il quadro di cui disponeva al momento ultimo per prendere decisioni in merito alla strutturazione del Congresso era ancora molto incompleto e frammentario. Spetterà alle consultazioni con tutti i soci, che avremo nei prossimi due giorni, fare proposte sia sui contenuti che sulle forme che dovranno assumere i congressi futuri – forme e contenuti – che potranno essere molto diversi da quelli di oggi (si potrà pensare, per esempio, a congressi con poche relazioni, tenute per invito anche da studiosi stranieri, con ampio spazio per il dibattito). In questo primo Congresso, tenendo conto degli interessi dichiaratisi nella produzione scientifica di molti membri dell’Associazione, si sono voluti privilegiare i temi dello sperimentalismo caratteristici del Novecento, sia nella pratica letteraria che nella riflessione linguistica. Di qui la scelta: «Sperimentalismo e innovazione nella letteratura inglese contemporanea» per la prima sezione; «Aspetti teorici e sperimentali della ricerca sulla lingua inglese» per la seconda. E’ un modo di fare il punto sullo svolgimento della ricerca in due campi, sia pur limitati, che rientrano in modo preminente negli interessi dei membri dell’Associazione. Ho parlato finora soprattutto della ricerca; ma questo non è l’unico obiettivo di un’Associazione come l’AIA. Mi sia consentito di approfittare di questa occasione per tracciare sinteticamente la storia della nascita dell’AIA e per fare un bilancio sommario dell’attività svolta nel suo primo anno di vita, indicando così le linee d’azione lungo le quali l’AIA si muove e almeno alcuni degli obiettivi vicini e lontani che intende perseguire. Proprio per il coordinamento della ricerca si costituì negli anni sessanta, sotto gli auspici del Consiglio Nazionale delle Ricerche, una prima Associazione Italiana di Anglistica. Si trattava di un gruppo ristretto di cattedratici, e occorre dire che furono allora impostate, con la collaborazione di varie sedi universitarie, ricerche assai fruttuose, come quelle sui fondi di anglistica nelle biblioteche e negli archivi italiani, o sulla fortuna di Shakespeare in Italia, i cui risultati seguitano tuttora ad apparire. Tuttavia, soprattutto dopo il 1968, i vari progetti di ricerca proseguirono indipendentemente l’uno dall’altro, grazie all’iniziativa, certamente encomiabile, di singoli docenti e ricercatori; contemporaneamente, a seguito della liberalizzazione degli accessi all’Università, gli Istituti e i docenti di anglistica erano assoggettati a formidabili pressioni per la moltiplicazione del numero degli studenti, con esigenze che a prima vista sembravano interferire e addirittura opporsi all’impegno della ricerca – esigenze che le già fatiscenti strutture universitarie esistenti non erano assolutamente in grado di affrontare. I provvedimenti urgenti del ’73, mai integralmente attuati, se da una parte diedero l’illusoria impressione di incrementare i ranghi di docenti e ricercatori (e in effetti permisero l’acquisizione di nuove leve di studiosi di merito), dall’altra accentuarono e quasi istituzionalizzarono la condizione di precarietà in cui l’Università versa ormai da tanti anni. Tale condizione fu sentita e si sente in maniera particolarmente grave nell’ambito della lingua e letteratura inglese per la ragione già indicata, ossia per l’enorme afflusso di studenti che vedono nell’inglese uno strumento indispensabile per accedere ad un qualsiasi sbocco professionale. Nell’ottobre del 1975, in una riunione promossa ancora una volta dal C.N.R., i docenti universitari d’inglese, fra i quali molti della nuova generazione, il cui genuino entusiasmo era perennemente frustrato da una stagnazione amministrativa e organizzativa che dura tuttora, cercarono di riannodare le fila del discorso sulla ricerca e sul suo coordinamento. Ci si rese subito conto in quella sede che, se da una parte esistevano in abbondanza le forze per dare nuovo impulso alla ricerca, dall’altra il limitarsi ad una funzione di coordinamento sul piano nazionale sarebbe stato un chiudere gli occhi al compito primario del docente di anglistica in quella che ormai – bene o male – era divenuta un’Università di massa, e dunque un’Università diversa – un’Università che aveva bisogno di un radicale rinnovamento se voleva tentare di rispondere ad esigenze che si erano già dichiarate in maniera drammatica, e non in Italia soltanto, alla fine degli anni Sessanta, e alle quali le forze politiche e amministrative, con tutta la buona volontà, non avevano fornito neppure l’ombra di una risposta. La domanda che gli anglisti dovevano porsi non era quale ricerca o ricerche perseguire, ma perché perseguirla – e in quale contesto. Insomma, riconoscendo la funzione didattica dell’Università (e particolarmente nel nostro campo, delle lingue e letterature straniere) – funzione innegabile, ma condotta in condizioni di estremo disagio per le gravissime carenze istituzionali –, l’unica via aperta apparve quella di approfondire lo studio del rapporto fra didattica e ricerca, di accertare lo spazio della ricerca nell’insegnamento, soprattutto in vista di nuove strutture universitarie: in primo luogo il Dipartimento, una struttura all’interno della quale non può esistere didattica senza ricerca o viceversa. Una commissione ristretta fu incaricata di preparare un convegno nazionale degli anglisti con un duplice fine: dibattere innanzitutto questa tematica, cercando di arrivare a proposte concrete e comunque a evidenziare l’estensione del problema e a puntualizzarne i momenti essenziali; in secondo luogo rifondare un’associazione di docenti universitari non più limitata a cattedratici e ricercatori, ma con il contributo di tutti coloro – e sono ormai moltissimi – che operano a livello universitario nell’insegnamento delle discipline afferenti all’anglistica (lingua e letteratura inglese, letteratura nord-americana, lingua inglese, altre letterature anglofone, linguistica ecc.) in qualsiasi tipo di Facoltà e in qualsiasi capacità, dall’esercitatore al cattedratico. Fin dalla fase preparatoria ci si rese conto della necessità di giovarci delle esperienze delle Associazioni analoghe di docenti di lingue e letterature straniere già esistenti (noi arrivavamo buoni ultimi); il rapporto, in primo luogo, con l’Associazione Italiana di Studi Nord-Americani era un rapporto, direi, naturale: la coesistenza delle due Associazioni, con una maggioranza di membri in comune, non poteva che giovare ad entrambe, proprio per la maggiore apertura dell’ambito culturale dell’americanistica e per la maggiore estensione dell’ambito didattico e linguistico dell’anglistica. Con le altre associazioni (francesisti, germanisti, ispanisti, russisti, slavisti) si decise di istituire un comitato di coordinamento – che ora per brevità si designa col nome di Comitato Interlingue – per affrontare la vastissima problematica comune ed arrivare a proposte concrete e unitarie da avanzare nelle sedi appropriate: governo, parlamento, sindacati ecc. Sul rapporto con le altre Associazioni di lingue e letterature straniere si impone una precisazione: proprio perché esiste una richiesta di gran lunga prevalente dell’apprendimento dell’inglese come lingua franca, internazionale e universale, l’AIA rifiuta di assumere una sorta di posizione egemone nel campo linguistico; al contrario: ritiene tanto più necessario difendere con ogni mezzo il patrimonio culturale rappresentato dagli altri ambiti linguistici. Guai a lasciar infiacchire nell’Università e nella scuola il francese, il tedesco, il russo, lo spagnolo – bisogna invece potenziare tali insegnamenti. E’ per questo che l’AIA guarda in questi giorni con grave preoccupazione a una proposta resa pubblica di riforma della scuola secondaria che prevede l’insegnamento di una sola lingua moderna – è intuibile che il 90 per cento almeno degli allievi sceglierebbero, per ragioni strumentali, l’inglese, e il risultato per la collocazione della cultura italiana nel ricco e vario contesto delle culture europee ed extraeuropee sarebbe disastroso. Tornando alla tematica del convegno istitutivo dell’AIA, tenuto a Firenze il 13-16 aprile 1977: in una serie di tavole rotonde seguite da dibattito venne discussa la didattica della lingua in rapporto a quella della letteratura, la ristrutturazione del corso di laurea in lingue, il ruolo dell’anglista in una nuova Università, ossia la metodologia e la politica della ricerca. Lo statuto della nuova Associazione ne indicava le finalità: – promuovere lo studio a livello universitario delle discipline anglistiche ed appoggiare con ogni mezzo la ricerca scientifica in tale settore; – assicurare la partecipazione italiana alle attività nel campo internazionale dell’anglistica, facilitando i contatti e incrementando gli scambi con studiosi e istituzioni dei paesi di lingua inglese; – organizzare corsi e seminari, promuovere l’attività editoriale nel campo dell’anglistica; – impegnarsi a fondo nel miglioramento del livello dell’insegnamento della lingua e della cultura inglese in Italia, anche attraverso il coordinamento delle attività didattiche e di ricerca fra i vari centri di studi anglistici; – attivare rapporti con la scuola media e secondaria. A questi compiti statutari l’AIA ha cercato di tener fede nei limiti delle sue possibilità di tempo e di risorse, delegando parte di essi a tre commissioni di lavoro e di studio, rispettivamente per la Ricerca e i Rapporti scienti f ici, per la Didattica e per la Riforma – commissioni che si sono riunite quasi mensilmente ed hanno svolto, mi pare, un lavoro proficuo, elaborando una serie di proposte che hanno illustrato questa mattina nelle loro relazioni all’assemblea dei membri dell’Associazione. Ma accanto a queste funzioni previste dallo statuto, una mozione finale approvata dai partecipanti al convegno di Firenze riassumeva in tre punti l’azione affidata al direttivo dell’associazione: 1) Rivendicazione dell’autonomia a tutti gli offerti dell’insegnamento e della ricerca linguistica, con pieno riconoscimento del suo statuto scientifico. 2) Richiesta di una stretta correlazione fra didattica e ricerca, finalizzate entrambe all’acquisizione di strumenti critici scientificamente fondati, e in rapporto organico interdisciplinare con altre forme di comunicazione. 3) Definizione del Dipartimento, caratterizzato dalla programmazione collegiale dell’attività didattica e scientifica e dal superamento della titolarità degli insegnamenti in vista di una ricomposizione organica della attuale partizione delle discipline. La mozione raccomandava inoltre una particolare attenzione alla problematica dell’Università nel Mezzogiorno, e dava mandato al direttivo di collaborare con le altre Associazioni di lingue e letterature straniere per un’azione politica comune intesa a incidere sulle varie fasi di trasformazione dell’Università. Il Direttivo dell’AIA ritiene di avere svolto la sua azione in conformità con queste indicazioni. Per quanto riguarda la questione delle Università del Mezzogiorno, è stato promosso, con il generoso contributo dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli e la collaborazione dell’Università di Bari, il Convegno degli Anglisti delle Università del Meridione, tenuto a Napoli dal 9 all’11 novembre 1977. In una serie di relazioni e attraverso un dibattito assai vivace, esso ha fornito un quadro preciso e articolato della didattica e della ricerca nel campo della lingua e della letteratura inglese in dodici Università del Sud e delle isole – quadro esteso ai progetti e alle prospettive di sviluppo futuro, nel contesto sociale, economico e politico dell’Italia Meridionale. Delle altre raccomandazioni è stata investita in maniera particolare la commissione per la Riforma dell’AIA, che ha ritenuto di dover agire in tutti i casi in collaborazione con le altre Associazioni dei docenti di Lingue e Letterature Straniere: infatti i problemi dell’autonomia dell’insegnamento e della ricerca linguistica, della correlazione fra didattica e ricerca (già per altro esaminati dalle commissioni Didattica e Ricerca), e quello del Dipartimento e del Corso di Laurea, non sono certo circoscrivibili al solo campo dell’anglistica. Il Comitato Interlingue, oltre a cercare di stabilire contatti diretti con le forze politiche disponibili, e in particolare con la Commissione Istruzione del Senato, impegnata nell’esame dei progetti di riforma dell’Università, ha organizzato, grazie all’ospitalità e al generoso contributo dell’Università di Roma, un convegno nazionale, tenuto nei giorni 2, 3 e 4 dicembre scorso, sul tema «Lingue e culture straniere nel progetto di un’Università nuova », convegno i cui atti sono ora pronti per la pubblicazione. Le quattro relazioni di base, e le mozioni con cui le sei associazioni linguistiche ne hanno fatto propri i contenuti essenziali, sono di grande importanza e andrebbero meditate da chi si appresti a varare una riforma universitaria. Gli argomenti sono: 1) Rapporto fra Università e scuola secondaria. 2) Rapporto fra «lingua» e «cultura». 3) Struttura e funzioni dell’insegnamento linguistico. 4) Riforma dell’Università: rapporto fra Dipartimento e Corsi di Laurea. Quest’ultima relazione definisce con chiarezza un punto che i progetti di riforma non sempre prendono in debita considerazione, ossia le rispettive sfere di competenza del Dipartiniento da una parte e del Corso di Laurea dall’altra; più specificamente poi prospetta le varie possibilità di costituzione di Dipartimenti di lingue e letterature straniere – problema di soluzione tutt’altro che facile. Questo documento può servire da base di un dibattito più ampio che le varie Associazioni si sono impegnate a promuovere nelle diverse sedi universitarie. In fine, da esso emerge 1’assurda condizione attuale per cui la Laurea in lingue e letterature straniere, con identico valore legate, viene conferita in base a quattro ordini di studi diversi in Facoltà dii diversa denominazione: il Comitato interlingue ha intrapreso un’azione a livello ministeriale perché, nelle more della riforma, venga intanto studiata e definita la questione dei corsi di laurea in lingue. Le relazioni e le mozioni del convegno sul rapporto fra lingua e cultura e sull’insegnamento linguistico chiariscono la posizione delle Associazioni sull’autonomia, la dignità scientifica e lo sviluppo dell’insegnamento linguistico, pur sostenendo la necessità di un costante collegamento fra i singoli ambiti linguistici e le culture che in essi si riconoscono. E’ evidente l’importanza di questo punto nella progettazione dipartimentale. Ho lasciato per ultima la questione del rapporto fra Università e scuola secondaria sotto il profilo dell’insegnamento delle lingue e letterature straniere, perché tocca molto da vicino noi anglisti. Ci tocca sotto due aspetti: 1) Altre Associazioni linguistiche, come ad esempio 1’Associazione Docenti Italiani di Lingua e Letteratura Tedesca, sono aperte anche ai docenti delta scuola secondaria. Così avrebbe voluto essere l’AIA, convinta della necessità di coinvolgere gli anglisti a tutti i livelli, in funzione del miglioramento dello standard culturale della scuola come dell’Università. Ma c’e una questione di numeri. I docenti d’inglese nella scuola media e secondaria italiana sono circa 40.000; ora, un’Associazione che abbia, sia pur potenzialmente, 40.000 rnembri, perde la sua qualificazione scientifica per divenire un ordine professionale, o una corporazione, impegnata nella difesa dei propri interessi, appunto, corporativi. Cosa certo legittima, ma che non rientra nei compiti istituzionali dell’AIA. Vorrei approfittare di questa occasione per fare ai nostri colleghi docenti nella scuola secondaria una proposta concreta, che eviterebbe una confusione fra i compiti propri, diciamo, di un sindacato, e quelli di un’Associazione culturale: il suggerimento è di organizzare, con l’aiuto delle Regioni (che sarebbero certamente aperte a questo tipo di attività) associazioni regionali dei docenti di anglistica, con le stesse finalità dell’AIA. Tali Associazioni stabilirebbero legami diretti con l’AIA, la quale a sua volta sta appunto progettando attività decentrate, sul piano regionale o inter-regionale. 2) Il secondo punto relativo al rapporto Scuola-Università è quello, chiaramente enunciato nella relazione e nel documento conclusivo del convegno di Roma, della funzione dell’Università nella preparazione professionale e nell’aggiornamento degli insegnanti. Il problema è gravissimo e di estrema urgenza, anche in vista di recenti e meno recenti iniziative sia dei Provveditorati agli studi che ministeriali, tendenti a escludere l’Università da questo compito – soprattutto per quanto riguarda la lingua e la letteratura inglese. Il pericolo è che questa esclusione, motivata ora con il fatto che l’Università non è in grado di adempiere a tali compiti, venga istituzionalizzata. L’Associazione ha preparato, sull’aggiornamento degli insegnanti di lingua inglese, un documento redatto da un comitato ristretto del Direttivo, sul quale desidero richiamare l’attenzione di tutti gli organi interessati, chiedendo loro di esaminarlo attentamente prima di arrivare a decisioni a lungo termine che sarebbero veramente disastrose sia per l’Università che per la scuola, particolarmente per le discipline che noi professiamo. L’aggiornamento, l’istruzione permanente di coloro che sono impegnati nell’insegnamento, può aver luogo soltanto nelle sedi ove si svolge anche la ricerca, ossia nelle Università. Altre preoccupazioni sono emerse dal convegno di Roma, e rimangono nel fuoco dell’attenzione dell’AIA: la questione, ad esempio, dei docenti di madre lingua, indispensabili collaboratori per 1’efficacia dell’insegnamento linguistico. Non è il caso di affrontarla in questa sede, ma d’altra parte non si può ignorare. Voglio chiarire un punto, agli stessi docenti interessati: l’AIA può farsi carico dei loro problemi solo a patto che essi non assumano carattere rivendicativo – ma rimangano nell’ambito del necessario coordinamento fra i vari elementi indispensabili per la promozione della ricerca nell’insegnamento e dell’insegnamento nella ricerca. Ripeto, il nostro non è un sindacato, anche se con le forze sindacali intende collaborare; ritiene suo dovere entrare nel merito della riforma universitaria non per difendere interessi particolari, ma perché da essa dipende il progresso degli studi anglistici – come ogni altro progresso civile – in Italia; nel caso specifico, da essa dipende l’affermazione dell’anglistica italiana in campo internazionale, e lo stabilire fruttuosi quanto indispensabili scambi con i paesi di lingua inglese. Per questo l’Associazione si preoccupa per le voci o notizie su ulteriori ritardi o provvedimenti parziali per l’Università. Questo congresso vuole esprimere anche queste nostre preoccupazioni, perché il fatto stesso che il congresso si tenga oggi, in questa situazione politica generale, dimostra che c’è chi crede nei valori della cultura, c’e chi ha fiducia, e sarebbe un fatto gravissimo deludere questa fiducia.
G. MELCHIORI